E’ notte fonda, le finestre della mia camera sono spalancate, a dimostrazione dell’estate che si avvicina, e le auto passano costantemente su questo corso Buenos Aires. Fino a pochi mesi fa pativo la mia singletudine, sperando sempre in ritorni dal passato. Era quello il mio errore. Diciamo di voler dimenticare una storia d’amore finita male, con tanta voglia di andare avanti, e allo stesso tempo ci portiamo dietro la speranza che quella storia possa tornare ad essere realtà. E’ un controsenso, che ci tiene fermi, immobili e legati a quei tempi ormai sepolti. Ormai è da tempo che sono single. Più lo sono, e più mi rendo conto di quanto mi faccia bene stare da solo. Continuo a metabolizzare giorno dopo giorno tutte le delusioni che ho subito, sentimentali e non, riuscendo a farmene sempre di più una ragione. C’è chi passa da una relazione all’altra, senza avere il tempo di respirare e riflettere su ciò che ha vissuto, ritrovandosi subito dopo a dover fare i conti con diverse esperienze susseguitosi velocemente. E c’è chi, come me, respira e riflette, lavorando sul proprio “Io”, traendo il meglio dalle brutte esperienze passate, per poi sentirsi una persona nuova. Oggi è così che mi sento. Penso al 2009, e mi dico “non mi ha mai realmente amato, pazienza!”. Penso al 2010, e mi dico “abbiamo sbagliato tutto, pazienza!”. Penso al 2011, e mi dico “pensa a crescere, Ale!”. Tra esattamente quindici giorni, il 2 Giugno prossimo, spegnerò venti candeline. Non ho ancora organizzato nulla per l’occasione, anche perché mi ritroverò travolto tra intere giornate di studio ed esami universitari. Per quest’anno voglio cercare di non dare troppa importanza a quei grandi festeggiamenti che ho voluto ostentare negli ultimi due compleanni. Da questi miei vent’anni mi aspetto di sentirmi più grande, più cresciuto, più vissuto, iniziando ad apparire di meno, ed essere di più. Quanto ai festeggiamenti, un “ti amo” dalla mia famiglia basterà a farmi sentire felice di essere arrivato fin qui. Perché potremmo anche ricevere 2.114 auguri su Facebook, ma quelli fatti con amore si contano sulle dita di una mano. Cinque dita, per essere precisi.
Mentre guardavo alternamente dalle due grandi finestre affacciate sul passato e sull’avvenire, i ladri entrarono indisturbati nella stanza e mi derubarono di tutto il presente. Secondo un antico apologo rabbinico, un giorno Dio inviò l’angelo Gabriele col dono dell’eternità da offrire all’umanità. Dopo una lunga perlustrazione l’angelo ritornò stringendo ancora nelle mani quel dono. E spiegò al Signore: «Non ho trovato nessun uomo che mi ascoltasse, perché tutti avevano un piede nel passato e l’altro nel futuro o non avevano un presente per fermarsi e sentirmi». Certo, è vero – come diceva sant’Agostino – che il presente, quando lo si dice, è già divenuto passato, mentre prima è solo un futuro da compiersi. Eppure, la vita è proprio un continuo presente e aveva ragione la poetessa fiorentina Margherita Guidacci (1921-1992) quando, nella rivista Linea Nuova del 1967, faceva l’intensa confessione che abbiamo sopra affidato ai nostri lettori. Sono tanti i ladri del presente che approfittano delle nostre distrazioni per rubarci l’istante in cui viviamo. C’è la nostalgia del passato che ci fa guardare indietro con malinconia, come accade alla moglie di Lot o come è stato per il famoso scrittore francese Marcel Proust, rivolto solo alla «ricerca del tempo perduto». Si diventa, così, persone dal rimpianto permanente, conservatori, lamentosi, depressi, convinti che l’età dell’oro è solo alle spalle. Ma c’è anche la frenesia del futuro che rende sempre tesi, esaltati, esagitati, febbrilmente attirati da un “poi” che ci sfugge di mano, rifugiandosi tra le nebbie dell’utopia. Ecco, allora, l’importanza di «comprendere quest’ora», come diceva Gesù ai suoi ascoltatori, di amare l’istante in cui Dio ci colloca continuamente, in attesa dell’istante unico, perfetto e definitivo dell’eternità.
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Più leggo ciò che scrivi, più penso che in un certo qual senso tu sappia esprimere anche le mie sensazioni.. sarà che avremo delle cose in comune, sarà che a 20 anni (magari un pò prematuramente) si inizia a fare un pò il conto di tutto quello che è accaduto fin qui, nel corso del nostro viaggio. In fondo a 20 anni si è ragazzi, ma caspita!, fino a ieri facevamo fatica a stare su due piedi! Di tempo ne è pessato, di esperienze ne abbiamo fatte, di persone ne abbiamo incontrate.. e tutto (ma proprio tutto!) è servito a giungere fino a qui, fino a dove siamo. Fino a con chi siamo. Fino a quello che siamo. E sai cosa c’è? Che la realtà, come dici tu, è una sola, sempre la stessa. Tutto quello che abbiamo, tutto ciò su cui possiamo contare, tutto quello su cui possiamo lavorare siamo NOI (il nostro IO) e loro (la nostra VITA, la nostra FAMIGLIA). E forse coi 20 anni che incombono (o che ti hanno appena raggiunto, come è successo a me) te ne rendi davvero conto…
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