Un tempo pensavo che il termine “felicità” consistesse nella ricerca della propria anima gemella. Felice grazie all’amore. Ne ero fortemente convinto, almeno fin quando non ho subito la mia prima, e forse unica, delusione amorosa. Oggi ho capito che si può vivere anche con altre forme d’amore, e non necessariamente con quello sentimentale. Così, una volta conquistata una mia autonoma serenità, arrivai a pensare che essere felici significasse superare quelle istituzioni che la società ci fa passare per “cose giuste da fare”: una laurea, una carriera. Diventare qualcuno. Ho cambiato la mia vita proprio basandomi su quest’ultima teoria di conquista della felicità. Abbiamo trasformato il mondo in un’eterna scalata al successo, augurandoci, l’uno con l’altro, speranze su un brillante futuro. Siamo diventati tutti dei robot sforna soldi, carne da macello per l’intera economia. Marionette, schiave di una società che ci vuole depressi e paranoici, eternamente insoddisfatti. Che fine ha fatto l’augurio più bello che qualsiasi essere umano possa ricevere? Negli ultimi tempi tutto ciò che mi sento augurare, spesso anche ipocritamente, è “spero che riuscirai a realizzare i tuoi sogni”, oppure “in bocca al lupo con l’esame”. Nessuno che mi dicesse “spero che tu sia felice”. Studiare, lavorare, ottenere profitti. E’ indubbiamente lo schema principale della società odierna, e lasciamo che la nostra vita, con tutto il nostro essere, si riduca tutta lì. Ma è appagante? Basti vedere le persone più potenti del mondo, ricche di materialità, di effimero potere, ma povere di felicità. Accumuliamo risultati, ma siamo prontissimi ad additare e criticare chi, invece, ottiene fallimenti. Quasi come se non aspettassimo altro. Pensiamoci un attimo: è un paradosso. Passiamo da incoraggianti speranze, a pressanti demotivazioni. Come se fossimo tutti dei prodotti su cui investire, dimenticando che siamo prima di tutto dei figli, dei fratelli, degli amici. Esseri umani. Una possibilità, due possibilità, tre possibilità, e così via. La vita è diventata una corsa all’ultima chance, come se un’esistenza potesse essere sminuita con un ultimatum. Ed è allora che dobbiamo capire di non avere scadenze, rompendo ogni clessidra che ci distrae dalla nostra personale realizzazione.
Più di 25.000 visite dal 2008. Questo blog è per me la prova che più tentiamo di farci ascoltare, urlando, e più tutto ciò che diciamo sono solo parole al vento. Pubblico le ennesime. Stanco di cercare di farmi capire. Stanco di chi finge di cercare di capirmi. Stanco di un mondo che spaccia per saggezza la superficialità. Camminate tutti in fila indiana. Io preferisco camminare per conto mio, tra successi e fallimenti, ma pieno d’esperienze e lezioni di vita. Perché non c’è amore o carriera che renda felici più di un’innata voglia di vivere.
Il tuo intervento piu bello su questo blog…veramente…d’accordo su tutto..sembravano parole mie..XD…finalmente hai capito una cosa importantissimaa 🙂 ti voglio bene
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Tu sbagli nel cercare la felicita all’esterno, nelle cose che ti circondano.La felicita’ la puoi’ trovare solo in te e tutto cio’ che e’ connesso al tuo essere.Sei tu che decidi, tue le scelte tua la vita.Se studi e’ perche’ dovresti volerlo tu, la laurea, una carriera sono obbiettivi che dovrebebro essere tuoi e non le speranze, i progetti, di qualcuno che non e’ riuscito a realizzarli e vorrebbe vedere nelal vita di una persona a se cara, forse quella a cui vuole piu’ bene.Se ti senti frustato, stanco, tu puoi semrpe staccare tutto, allontanarti ed ascoltarti.Tu puoi essere felice, tu puoi, ma devi essere tu a farlo. Non puoi pretendere che qualcuno ti renda felice o che faccia tutte quelle cose che tu non hai il coraggio di fare ma che vorresti che avvenissero’, cosi’ all’improvviso, senza far nulla.Tutto quello che dici e’ vero, ma anche tu hai pensato che la felicita’ fosse altrove mentre invece e’ li’ vicino a te, basta alzare la mano e prenderla.A volte crediamo che la nostra vita sia cosi’ complicata ,cosi’ confusa,cosi’ lontana dalle cose che vogliamo davvero da non capire che cio’ di cui abbiamo bisogno sono i gesti piu’ puri e semplici.Riscoprire le piccole cose, picocli momenti che ci ricordano chi siamo, da dove veniamo e soprattutto cosa vogliamo essere.Non c’e’ bisogno di sconvolgere una vita per sorprenderci e per riscoprire che quello che volevano ieri, cioe’ per cui abbiamo lottato, cio’ in cui abbiamo creduto sono gli stessi principi che ci hanno reso le persone di oggi.Basta respirare, solo respirare lentamente.
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Sono un uomo inquieto uscito da una famiglia quietissima. La quiete mi annoia, l’inquietudine mi irrita. Cerco una via di mezzo, ma la cerco dove sono sicuro di non trovarla. «Un vero giornalista: spiega benissimo quello che non sa». È, questa, una delle tante battute fulminanti di Leo Longanesi (1905-1957), giornalista. Individualista, curioso, geniale, conservatore, instancabilmente insoddisfatto e in ricerca: lo attesta la confessione che sopra ho proposto come suo autoritratto. Sferzante coi difetti degli italiani («se c’è una cosa in Italia che funziona bene è il disordine»), allergico alla stupidità («solo un cretino è pieno di idee»), scettico nel progresso sociale («tutte le rivoluzioni cominciano per strada e finiscono a tavola»), ironico sugli intellettuali («l’esperto è un signore che, a pagamento, ti spiega perché ha sbagliato l’analisi precedente»), Longanesi coltivava un’inquietudine che non era, però, quella agostiniana della ricerca, ma che aveva in sé il germe dell’invincibile insoddisfazione. Certo, essa può avere anche un profilo benefico e positivo perché spazza via i luoghi comuni, i miti, le illusioni, purifica la mente dalle nebbie delle approssimazioni e il cuore dall’egoistico quieto vivere. Tuttavia, trascina con sé alcune malattie dell’anima, come il malcontento permanente, l’acidità non solo di stomaco ma anche di cervello, l’intolleranza, la smania sprezzante e alla fine la frustrazione. È significativa l’ultima frase del testo da noi citato: «Cerco dove sono sicuro di non trovare». Alla fine la scontentezza diventa una seconda pelle che non si vuole svestire ed è per questo che ci si orienta sempre più verso mete desertiche ove non ci siano le temute oasi di verità.
…CON L’AUGURIO KE “TU SIA FELICE”…
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