Per ricordare chi sono. Per non cadere. Ancora.

Si vive per superare. Impieghiamo tantissimo tempo per sorridere e sentirci felici, e basta pochissimo per ributtarci a terra. Possono volerci anni per superare un brutto periodo, ma può bastare un secondo, e si ritorna indietro. Perché uno sguardo, una parola, un rifiuto uccidono dentro.

Ho tanti volti dentro di me, tanti nomi, tante storie, piccole e grandi. Ma fuori di me ci sono solo io. E non voglio farne una questione di karma, né di destino o astrattezze varie. L’oggettività ha delle cause e delle conseguenze concrete. Peccato solo che non riesca a decifrarle. Non più. Un tempo lanciavo il dito contro gli altri, ed era tutto più facile. Oggi lancio il dito contro di me, e fa male. Mettersi in discussione è la cosa più dura che si possa fare, ma probabilmente è anche la più costruttiva. Non mi ritrovo in certi ambienti, in certa gente, in certi caratteri. In certe personalità che meriterebbero solo uno sputo in faccia e tanto disprezzo per la loro ridicola e patetica consapevolezza di essere superiori. Eppure continuo a rincorrere tutto ciò, senza bussola, senza meta, senza direzioni. Senza un perché alla base di questo. Come un gran lavaggio del cervello a cui non riesco ad oppormi.

Poi arrivano notti come queste, in cui la mia mente squilla, come un telefono, e ricordo l’umiltà. Ricordo i veri valori che dovrei inseguire, e mi rendo conto che certa gente non fa per me. La semplicità del mio essere è troppo grande per l’effimera superbia di questo mondo. Sono nel posto sbagliato. Al momento giusto.

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