Le cose più belle della vita sono i sogni, le ambizioni, le aspettative. Personali, si intenda. La cosa più appagante della vita è realizzarli, o quantomeno provarci. Viviamo tutti in funzione dei nostri sogni. Mi alzo la mattina per andare all’Università e laurearmi, per poi trovare un lavoro, e di conseguenza realizzarmi. La stessa cosa quando esco di sera. Non si sa mai chi incontrerò, e cosa nascerà dall’ipotetica conoscenza. Amore, carriera. Non sono questi gli obiettivi principali di ognuno di noi? Al contrario, la cosa più brutta della vita, per quanto mi riguarda, sono le aspettative che ci vengono fatte da parte di terzi, e le conseguenti imposizioni. Terzi che possono essere i nostri genitori, familiari, o la nostra metà (o potenziale metà). Insomma, chiunque ci ruoti intorno. Qualche volta mi è capitato di sentirmi dare dell’egoista dalle persone che mi sono vicine. Il mio carattere è fatto di estrema predisposizione ad aiutare il prossimo, soprattutto le persone che amo (ergo: famiglia), ma c’è un indole che regna sovrana sul mio ego, a volte in bene, e altre in male: l’indipendenza. Indole che mi ha fatto sbattere tante porte in faccia, meritate e non, e che spesso mi porta ad una difensiva che nemmeno io stesso riesco a controllare. Nella mia vita ho sempre voluto sentirmi libero. Libero di fare ogni cosa che mi vien voglia di fare, e libero di rifiutare ogni cosa che non voglio fare. Odio che mi venga buttato sulle spalle il peso di aspettative che non partono da me. Odio quando queste aspettative diventano ossessioni, e di conseguenza insistenza. Brutta, cattiva, antipatica, odiosa, pallosa, insopportabile insistenza. Ed è così, di fronte alla fretta altrui, che il mio bicchiere mezzo pieno diventa mezzo vuoto, riempiendosi dell’aria che mi viene tolta. La fretta e la velocità mi mettono ansia, e mi fanno sentire chiuso in gabbia, facendomi venire un’immediata voglia di uscirne fuori. Tanta gente dovrebbe capire la cosa più banale del mondo, ovvero che la vita va vissuta giorno per giorno, senza fretta, senza troppo pensare al domani. Perché con tanta pazienza si gode di più la conquista, l’agognato traguardo. Giusto per non bruciare in un giorno quelli che potrebbero essere cento, mille giorni. E dunque l’egoista non è colui che cerca comprensione, bensì colui che non dà comprensione. Sminuendo così il valore verso l’altro. Ritrovandosi a mani vuote, in un mondo che assapora la vera felicità. Lentamente.
C’era una volta, tanti anni fa, un contadino ignorante che per la prima volta in vita sua andò a visitare un giardino zoologico. A un certo punto arrivò al recinto dove si trovava la giraffa. Visibilmente stizzito, rimirò a lungo l’animale. Infine gli volse le spalle e s’allontanò, borbottando arrabbiato: un animale così non esiste! È uno dei più noti e apprezzati scrittori israeliani, Amos Oz, a inserire nel suo libro In terra d’Israele questo buffo apologo tradizionale che ben esprime, sotto il velo della fiaba metaforica, un atteggiamento che non è certo appannaggio solo di qualche «contadino ignorante». Un po’ tutti, infatti, talvolta nella vita ci siamo fasciati la testa, come si suol dire, abbiamo chiuso gli occhi e tappato le orecchie per non ammettere una verità che non coincideva con le nostre ipotesi o supposizioni. Anzi, non di rado siamo stati pronti a rasentare il ridicolo pur di non sconfessare una nostra idea. E non è detto che alla fine l’evidenza trionfa, perché in molti casi una convinzione personale è talmente forte da accecare. Ecco, allora, il tentativo patetico di contraffare o di respingere la realtà pur di salvaguardare la propria granitica certezza. Un maestro di retorica oratoria com’era il greco Demostene, che ben conosceva i meccanismi della persuasione, in una delle sue “orazioni” – la cosiddetta Terza Olintica per la precisione – osservava che «nulla è più facile dell’illudersi, perché quello che ogni uomo desidera, crede anche che sia vero». Rassegnarsi a riconoscere l’errore del proprio convincimento è un’impresa quasi eroica quando l’orgoglio e l’incrollabile sicurezza si sono radicati nella mente e nel cuore. «Una convinzione – ammoniva il critico russo dell’Ottocento Vissarion Belinskij – ci dev’essere cara perché è vera, non perché è nostra».
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