Ciance.

Momenti sbagliati, inviti respinti che avremmo dovuto accettare, e quant’altro. Niente di tutto ciò. L’alchimia tra due persone c’è e basta (quando c’è), e non ci sono periodi positivi o negativi che tengano. Ci poniamo tanti perché, a volte fino a cadere nella più patetica ossessività. Ma, fortunatamente, il tempo è sempre portatore di quelle risposte che tanto turbano le nostre questioni irrisolte. Che sia dopo un anno, dopo un mese, o dopo una settimana. Sto imparando a pormi delle scadenze, e a non superare i limiti della mia dignità personale e del mio immenso orgoglio da ragazzo del sud. Ma credo che la cosa più importante da fare, nella vita in generale, sia riuscire a trasformare la negatività in positività. Ed è una cosa su cui sto lavorando da molti anni, quando la vita mi pose davanti quelli che sono i veri traumi da superare. Ho sempre amato reagire dinanzi alle piccole e grandi difficoltà, perché mi fa sentire forte, e in grado di poter superare qualsiasi cosa. Allo stesso tempo, ho sempre odiato piangermi addosso, soprattutto quando si tratta di vere e proprie frivolezze, come ad esempio rimpiangere una persona che molto probabilmente, viste le circostanze, vale quanto un pallone gonfiato ad elio venduto ad 1 euro alla sagra del cinghiale di Monteforte Irpino. E’ divertente il modo in cui le persone si spaccino per quello che non sono, senza pensare che la loro vera natura esca inevitabilmente fuori già dopo il tempo di un caffè. Agli occhi di tutti. Essere sé stessi, del resto, è sempre stata una rarità. E le palle, nella vita, servono prima di tutto per essere educati, corretti, chiari. Maturi. Quest’ultimo, che parolone! A vent’anni, provare pena per persone più grandi è quasi confortante. Però, a discorso finito, devo ammettere che mi girano un po’ le palle. Perché i presuntuosi interpreteranno queste mie umili parole come spicciolo rancore. Ma a quel punto nulla da dire, se non un fortissimo, ridente: “beata superbia”.

One thought on “Ciance.

  1. La giovinezza non è un periodo della vita, ma uno stato d’animo, un effetto della volontà, una qualità dell’immaginazione, un’intensità emotiva, una vittoria del coraggio sull’amore della comodità. Non si diventa vecchi per aver vissuto un certo numero di anni, ma perché si è abbandonato il proprio ideale. Gli anni tracciano solchi sul corpo e raggrinziscono la pelle, la rinuncia all’ideale li traccia nell’anima. In tante case c’è, relegato in qualche angolo, l’album o la scatola contenente le fotografie. Scorrere quelle più ingiallite crea una sensazione di malinconia: visi perfetti, freschi, sorridenti del passato hanno lasciato il passo all’impietosa verità dello specchio in cui questi stessi volti si riflettono oggi. Il fluire del tempo scava rughe, produce smagliature, stinge le tonalità, spegne la freschezza e il vigore. Se il giovane o la ragazza che ora sa di essere attraente immaginasse il suo profilo fra alcune decine d’anni, rimarrebbe sconcertato.

    Eppure una via per esorcizzare questo incubo c’è ed è suggerita nel testo sopra citato che è un frammento di un brano più ampio di solito assegnato a un discorso del generale Douglas A. McArthur (1880-1964), figura di spicco nella Seconda Guerra Mondiale. In realtà egli rimandava a uno scritto di un ebreo tedesco emigrato negli Usa, Samuel Ullman (1840-1940).

    Bisogna conservare lungo il percorso del fiume del tempo la freschezza interiore della ricerca, della passione, dell’amore, della bellezza, dell’attesa. È proprio qui il dramma di tanti giovani di oggi che hanno un viso perfetto, un corpo agile ma un’anima rattrappita, già vecchia e cadente. E sta proprio in questo la vitalità e la gioia di vivere di non pochi anziani che, non per ridicoli atteggiamenti giovanilistici esteriori, ma per carica interiore colmano i loro giorni di interessi e di attese. Il vero lifting non è quello della carne e della pelle, ma dello spirito.

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