Non so cosa siano i rimpianti, tantomeno i rimorsi. Ma conosco i limiti che appartengono ad ogni cosa che vive. E soprattutto quelli che fanno parte di noi, della nostra ingordigia, insaziabile voglia di fare e di volere. Nel mio caso strafare, e ci metto anche stravolere. Però, davanti ad un segnale di stop non si può fare altro che fermarsi. E attendere che si liberi la propria strada da percorrere. In pace, magari assaporando la solitudine dell’anima, stringendo quelle mani che fingono di farci sentire in compagnia e che non saranno mai le stesse per sempre. Tendiamo ad aprire le nostre porte a chi dovremmo chiuderle, e a sbatterle in faccia a chi dovremmo spalancarle. Questo è un classico scenario, una storia vecchia come il tempo. Probabilmente perché confidiamo in sogni tanto immensi da farci sentire sicuri e determinati, giusto per il lasso di tempo che il semaforo diventi rosso. Bruciando tutte le nostre prospettive e le pagine sulle quali avevamo scritto i nostri propositi. Ci sono sguardi che avremo incrociato sì e no due volte, ma che ci sembra di averli sempre di fronte a noi, senza riuscire a spiegarci il perché. E ci domandiamo a cosa sia dovuta l’ingiustificata attrazione che proviamo per quegli occhi simili a tanti altri, per quella bellezza imperfetta che viene contorta dal nostro inconscio ingigantito, facendocela sembrare perfetta. Dandoci l’effimera convinzione che tutto ciò che desideriamo è proprio lì, in quel corpo che ci respinge a colpi di schiaffi morali. Portandoci al limite delle nostre speranze, sogni, propositi. Al limite del possibile. Fermarsi ad uno stop che ci viene imposto non vuol dire rassegnarsi. E’ solo capire come va la vita, rispettando i suoi limiti. Imparando ad amare noi stessi, e a chi di limiti non ce ne dà.
Traduzione del testo.