E’ passato quasi un mese dall’ultima volta che ho scritto sul blog (che, a dirla tutta, inizia a farmi un po’ antipatia). Era la notte tra il 14 e il 15 Maggio, e raccontavo i soliti, ormai noiosi e banali, ricordi d’amore triti e ritriti, senza neanche minimamente immaginare che il mattino seguente, al lavoro, in una circostanza tra l’assurdo e il ridicolo, mi sarei rotto il naso con tanto di diagnosi “trauma contro cassonetto” (e non ve la sto a racconta’), sarei stato ricoverato al Policlinico di Milano per i seguenti quattro giorni, avrei subito un intervento, sarei sceso in quel paesino di 8.000 abitanti in provincia di Napoli per due settimane di convalescenza, per poi risalire in questa pompatissima città, ridicola nella sua consapevolezza di essere figa. E compiere 21 anni, con le due donne della mia vita, tra Gardaland, gnocchi fritti, culatello piacentino, paté di parmigiano e film sul divano come se stessimo da soli a casa senza mamma e papà. Praticamente un ritorno agli anni ’90, ma col cinismo dell’essere cresciuti.
Più fatti, meno parole. I gesti, che contraddistinguono il vero dal falso, che evidenziano quello che c’è, e demarcano quel che non c’è. Credere di avere tanto, per poi scoprire di possedere poco e nulla. E’ quello che ho capito durante quel frivolo, ma intenso ricovero, durante quei giorni a casa a prendere antidolorifici. Il giorno del mio compleanno. Quello splendido sabato 2 Giugno, in cui ho ricevuto 500 e passa auguri tra post in bacheca, sms, twittate, e-mail. In compenso, zero telefonate. Nessuna voce, nessuna presenza, se non delle futili congratulazioni scritte, giusto perché c’è una sempre-più-dannosa tecnologia a ricordarci di farlo. Auguri, che per me sono valsi quanto il nulla. Perché, appunto, è il nulla che ne ricavo. E che, di conseguenza, possiedo. Ho scoperto di essere solo, ma non nel senso oggettivo del termine, bensì in quello affettivo. Ed è probabilmente la consapevolezza più formativa che una persona possa acquisire. In quest’ultimo mese mi sono realmente reso conto, e non tanto per fare l’ex adolescente ormai cresciuto, che le uniche cose che contano sono la mia vita, la mia strada e la mia realizzazione. Il resto, a dirla tutta, è un Kleenex usato.
Come quelle lacrime versate, che mi imbarazzano solo a ricordarle. Quando soffrire equivale a svalutarsi. Se penso a ieri e all’altro ieri mi viene solo da chiedermi come abbia potuto essere così ingenuo, così distratto su ciò che sono, su ciò che ognuno di noi è. E me ne rendo conto mentre vivo un’esperienza simile ad altre passate, come una sorta di verifica su quanto imparato, ma stavolta sorrido, e gli attribuisco lo spessore che merita. Perché il valore per gli altri parte da zero, e cresce in base a quanto ce ne danno modo, ma il valore verso noi stessi nasce, cresce e vive insieme a noi, e vale più di tutto l’oro del mondo. Credo che sia questo il significato dell’amare se stessi.
Ho reputato importante tanta inutilità. Vivevo ad occhi chiusi, appagandomi di una menzogna che oggi mi disgusta più di ogni altra cosa. Volti che non mi hanno dato e non mi daranno mai nulla. Con cui non possiedo niente da condividere. Non più. E sto riaprendo gli occhi. C’è un buio da attraversare. Ma c’è una luce. E non sembra poi tanto lontana.
…poke parole, che rakkiudono ciò che l’immenso spesso ci invidia…TVB!
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