Quando mi bastava un abbraccio e saltare attorno a una stanza per essere felice. “Let’s jump around the room”, come bambini, nella purezza di un gesto che valeva più di tutti i diamanti che piovono su Giove e Saturno.
Quella felpa bianca che mi piaceva tanto indossare per il profumo che aveva sempre impresso, per il calore che mi dava, con quell’aria fresca sotto quel cielo sempre grigio che adoravo, perché, in fondo, era il sole di quei giorni. Avevo dimenticato cosa significasse essere tristi, mentre vivevo ricordi sempre nuovi fatti di profumi, sorrisi, baci, brindisi, conforti, sogni.
“You fit me better than my favourite sweater”, cantava Lana Del Rey, e sapevo esattamente cosa intendesse. Era uno stato di grazia, la felicità più felice che si possa provare. Erano certezza e sicurezza, gesti che non avevano bisogno di alcun “per sempre” rafforzativo; il presente che vivevo e il futuro che volevo.
Era la mia abilità nel distruggere tutto ciò che vale. Un sabotaggio scaturito da quel fuoco ardente che è l’irrazionalità. Erano il bianco e il nero, quella dualità che si contrapponeva e non lasciava più chiarezza. Era il cielo grigio che diventava sempre più cupo, con l’aria fresca diventata gelida. I ricordi si costruivano di lacrime, addii, punti interrogativi. Era la storia più bella mai scritta strappata in mille pezzi e bruciata in un fuoco che ha raffreddato gli animi. “This is the beginning of the end”.
E’ un rimpianto. E’ capire che è veramente tutto dipeso dalle nostre azioni, e che c’è una linea sottile che divide il cuore dalla ragione.
E’ il cuore che soffoca e non riesce più a parlare. E’ la ragione, orfana dell’onestà.
Basterebbe poco, per avere tanto.