14 settembre.

14 settembre 2012

14 settembre 2014

Credo che sia inevitabile che in certe date che rappresentavano avvenimenti e ricorrenze importanti il pensiero vada al passato. Andiamo avanti, o almeno ci sforziamo di farlo, cerchiamo di distrarci, di fare nuovi progetti, ma il tempo è lì, pronto puntualmente a ricordarci quanto avessimo accumulato, costruito e perso. E il rancore non basta a buttare via tutto, perché la mente vola sempre verso quei ricordi più belli, quando eravamo felici e tutto era basato sul costruire un futuro da condividere in due.

Vorrei poter dire di non avere rimpianti, e invece ne ho, insieme a domande che probabilmente non troveranno mai delle risposte, finché non scompariranno via del tutto, sbiadendosi nel tempo e perdendo tutta la loro importanza e valore. Come l’amore.
Cosa è andato storto? Come è possibile che un amore così grande fosse destinato ad essere parte del passato da etichettare come un periodo iniziato e finito per sempre? E la peggiore: riuscirò mai a provare di nuovo dei sentimenti così forti e ad imparare dagli errori passati?

Credo ancora nell’amore e non ho mai creduto a quelli che dicono che ce ne spetta uno soltanto nella vita. Forse, però, non credo più nel per sempre, nell’amarsi e onorarsi finché morte non ci separi.
Non si è più disposti a lottare, a sacrificare se stessi una volta finita la magia per rimettere insieme i pezzi. Ed è facile dire addio alla prima sfida.

Abbiamo le foto, le cronologie di conversazioni, i regali e i ricordi a loro associati.
Abbiamo i sentimenti, quei pochi rimasti, con cui dobbiamo convivere senza poterli esternare.

E abbiamo la rabbia, stanco di essere ipocrita, che mi fa augurare tutto il peggio a chi me lo ha fatto vivere.
Del resto, why should I wish all the best to someone who gave me all the worst?

Non si smette mai di imparare, e finché ci saranno persone capaci di farci vivere il vero e proprio inferno allora saranno grandi lezioni di vita.
Lezioni di vita a cui sarò eternamente grato. Nel bene e nel male.

All the worst,
Ale

Once again.

Avevo timore dell’arrivo di questa estate. Dopo tutti i grandi progetti dello scorso anno mi chiedevo cosa ne sarebbe stato di me, cosa avrei fatto, con chi, dove. Desideravo che non arrivasse mai l’estate, o che arrivasse qualcosa che la rendesse speciale, che non mi avrebbe fatto rimpiangere quelle partenze, quelle bevute, quei bagni di notte sotto il cielo stellato più bello che avessi mai visto, dall’altro lato del mondo. E invece, inevitabilmente, è arrivata l’estate. Fresca, grigia, piovosa, quasi come se non avesse voluto farmi sentire il suo arrivo.

Piove, quasi tutti i giorni ormai. Sarà felice Lana Del Rey; in fondo ha avuto un senso pubblicare un suo album in pieno giugno. La sento come una pioggia di transizione. Una pioggia che mi sta ripulendo da tutto lo sporco di quell’ennesimo passato che mi sto lasciando alle spalle, ma che mi tiene ancora un po’ nel buio che ha regnato nella prima metà di questo anno. Mesi trascorsi ad evadere dalla realtà, a scappare dai ricordi e dalle sofferenze che questi portavano. Un vero e proprio blackout di cui ricorderò la voglia di sembrare forte e felice, le luci psichedeliche del Vanilla ed i loro riflessi in tutti quegli specchi dopo il terzo Long Island, la voglia di spensieratezza, di svuotare la mente e correre via da tutto, lasciando il mondo scomparire. Ed è stato quello, probabilmente, il mio errore più grande in questi ultimi tempi. Scappare, sminuire l’importanza di tutto, e perdere la rotta. Once again.

Siamo nella seconda metà di questo anno. Ho avuto la fortuna di trovare di nuovo un senso alla mia routine. Un senso chiamato Cartier. Piove, e la mia mente si ripulisce ogni giorno. Ed ogni giorno, ad un certo punto, spuntano dei raggi di sole che danno speranza. Speranza in questo nuovo cammino, in questo cuore che sta dimostrando di sapere battere di nuovo, ed è talmente bello e liberatorio che non mi va di preoccuparmi pensando al domani e alle sofferenze che un cuore che batte può causare. Perché mi basta questo al momento per essere felice.

Del resto funziona così, è tutto un ciclo infinito.
E ci saranno altre nuvole, piogge, tuoni.
E, alla fine, uscirà di nuovo il sole.

Tutto ciò che voglio fare è rilassarmi, e aspettare questo nuovo sole che, sono sicuro, verrà presto allo scoperto.
E allora, finalmente, potrò godermi un po’ di tanto atteso e, perché no, meritato calore.

Once again.

Libero.

Libero – Non soggetto a padrone o a qualsiasi forma di dominio, di costrizione autoritaria.

Quando tutto si perde, tutto quel che c’era in quelle emozioni, in quei ricordi. In quei sentimenti che sembravano immortali. Quando quei sogni condivisi non hanno più valore, né importanza. Quando quei sorrisi e quelle lacrime non ti lasciano più un vuoto nello stomaco, ma ti fanno sorridere per un istante. E quel volto non è più protagonista dei tuoi pensieri.

Ti rendi conto di essere libero quando la dolcezza sostituisce il dolore in quei vecchi ricordi che sembravano insormontabili.
E riscopri la libertà in nuovi baci, in nuove emozioni, in nuovi sogni che sono soltanto tuoi, in nuovi sorrisi, nell’eccitazione di scoprire qualcosa di nuovo.

Il controllo di se stessi. Sentirsi fortunati per aver vissuto il passato, nel bene e nel male. Rendersi conto di non esserne più dipendente. La consapevolezza di non volere più tornare indietro. Un nuovo spazio libero nel cuore. Qualche farfalla superstite nello stomaco. La voglia ed il coraggio di rischiare tutto e perdere tutto, ancora una volta. E ricominciare.

Credo che sia questa la libertà, sentirsi vivi, sapersi emozionare di nuovo.
Ed io, oggi, sono una persona libera.

Quanto bastava. Quanto basta.

Quando mi bastava un abbraccio e saltare attorno a una stanza per essere felice. “Let’s jump around the room”, come bambini, nella purezza di un gesto che valeva più di tutti i diamanti che piovono su Giove e Saturno.
Quella felpa bianca che mi piaceva tanto indossare per il profumo che aveva sempre impresso, per il calore che mi dava, con quell’aria fresca sotto quel cielo sempre grigio che adoravo, perché, in fondo, era il sole di quei giorni. Avevo dimenticato cosa significasse essere tristi, mentre vivevo ricordi sempre nuovi fatti di profumi, sorrisi, baci, brindisi, conforti, sogni.
“You fit me better than my favourite sweater”, cantava Lana Del Rey, e sapevo esattamente cosa intendesse. Era uno stato di grazia, la felicità più felice che si possa provare. Erano certezza e sicurezza, gesti che non avevano bisogno di alcun “per sempre” rafforzativo; il presente che vivevo e il futuro che volevo.

Era la mia abilità nel distruggere tutto ciò che vale. Un sabotaggio scaturito da quel fuoco ardente che è l’irrazionalità. Erano il bianco e il nero, quella dualità che si contrapponeva e non lasciava più chiarezza. Era il cielo grigio che diventava sempre più cupo, con l’aria fresca diventata gelida. I ricordi si costruivano di lacrime, addii, punti interrogativi. Era la storia più bella mai scritta strappata in mille pezzi e bruciata in un fuoco che ha raffreddato gli animi. “This is the beginning of the end”.

E’ un rimpianto. E’ capire che è veramente tutto dipeso dalle nostre azioni, e che c’è una linea sottile che divide il cuore dalla ragione.
E’ il cuore che soffoca e non riesce più a parlare. E’ la ragione, orfana dell’onestà.

Basterebbe poco, per avere tanto.

R.I.P.

Preso dalla routine, da impegni effimeri, dal pensare a non pensare, vagabondando nel mondo con mille punti interrogativi, alla ricerca di qualcosa di dolce e di leggero con cui riempire pagine lasciate vuote da quella salvezza che è stata quell’addio. A volte mi faccio due calcoli e realizzo quanto tempo sia passato, così velocemente da far paura, come se dovessi raggiungere un imminente traguardo al quale rischio di arrivare impreparato. Come se non fossi più al passo con la vita, col tempo, interrogandomi su quanto sia davvero passato, a parte i mesi sul calendario.
Ne ho passate tante, ne ho viste un po’, eppure queste pagine recenti mi sembrano così vuote, insulse e irrilevanti. Non c’è più emozione, ma solo comandi statici dettati dalla voglia di proseguire verso un altro giorno. E quelle farfalle che partivano dallo stomaco fino ad annebbiarmi la mente hanno probabilmente raggiunto e superato l’arcobaleno, senza di me.

Mi trasformo in pietra, mentre la fede va via, e gli occhi diventano di ghiaccio, insieme all’anima congelata in un presente rosso il cui futuro sembra buio, rimpiangendo quel passato imposto dal destino che altro non era che un angelo di luce.

Suona il telefono e mi risveglio, riconquistando quella fede che una volta persa mi avrebbe reso un animale in mezzo a tanti altri. Il ghiaccio si scioglie grazie al fuoco scaturito dalla potenza della forza di volontà, di essere. La mia. Le catene si spezzano e il buio diventa luce. Non ci sono più arcobaleni da raggiungere, né farfalle accecanti. Niente più fantasmi da riportare in vita.

C’è solo un mondo veramente di merda al quale dimostrare chi sono Io.